APPLICAZIONE LEGGE SALVA SUICIDI

1. CASO - Ordinanza di accoglimento, emessa dal Tribunale di Reggio Emilia - liquidazione del patrimonio a seguito della non accettazione dell'accordo proposto ai creditori

 

In sintesi: trattasi in specie della famiglia composta dal sig. Tornieri Angelo e Silvana Arigò residenti in San Polo d'Enza (RE) - inizialmente entrambi lavoranti, lui operaio presso una ditta , lei in una cooperativa. Successivamente, la moglie perde il posto di lavoro ed iniziano ad accumulare debiti per un totale di € 210.000,00 circa (mutui, condominio, finanziamenti, tasse).

Principale creditore la Banca erogante il mutuo - Credem.

Si rivolgono per opporsi inizialmente ad un precetto attivato dalla Credem al fine di riscuotere rate del mutuo non pagate.

Analizzando la situazione risultava possibile utilizzare la nuova procedura di ristrutturazione del debito introdotta con la L. n.3/2012 detta anche legge "salva suicidi".

Questa legge permette, grazie alla nomina da parte del Giudice di un O.C.C. (Organismo di composizione della crisi), la cui professionalità e sensibilità è fondamentale, di falcidiare la massa debitoria tenendo conto delle reali consistenze patrimoniali dei debitori. Nel nostro caso l'OCC nominato è stato l'Avv. Giorgia Gallo, del foro di Reggio Emilia, la cui tenacia e professionalità è risultata essere determinante nel nostro caso.

Le possibilità offerte dalla legge di cui sopra sono 3:

a. piano del consumatore (omologazione da parte del Tribunale di un piano senza richiedere il voto favorevole dei creditori)

b. accordo di ristrutturazione del debito (accordo con i creditori omologato se il 60% della massa creditrice vota favorevolmente)

c. liquidazione del patrimonio (si prevede la dismissione di tutti i beni liquidabili - mobili e immobili registrati)

Come massa attiva da utilizzare per soddisfare, in parte, tutti i creditori la famiglia Tornieri, con l'ausilio dell'OCC, aveva proposto l'accordo con i creditori offrendo:

1. euro 350,00 al mese per 3 anni dello stipendio del marito

2. vendita dell'immobile di proprietà dei coniugi

3. TFR accumulato dal sig. Torineri

4. un quinto del futuro stipendio della sig.ra Arigò (nell'ipotesi in cui la stessa avesse trovato occupazione durante la pendenza della procedura avente durata di 3 anni).

La Credem tuttavia, nonostante tale accordo fosse migliorativo rispetto a qualsiasi altra procedura esecutiva da loro utilizzabile per recuperare il credito, ha preferito rifiutare l'accordo per "non creare un precedente pericoloso".

Per tale ragione, abbiamo avanzato in via subordinata la liquidazione del patrimonio che ha come durata minima 4 anni e prevederà la dismissione dell'immobile in primis, per poi decurtare di 350,00 € lo stipendio del sig. Torineri per 4 anni.

Alla fine dei 4 anni, i sovraindebitati dovranno presentare, con il nostro ausilio, istanza di esdebitazione. Gli stessi, a fronte di una massa debitoria iniziale di 210.000,00 euro si ritroveranno (in base anche al prezzo di vendita dell'immobile) nella possibilità di ripartire da capo, con azzeramento di tutti i debiti, avendo corrisposto ai creditori circa 100.000,00 € (cifra valutata in considerazione della potenziale vendita dell'immobile a 75.000,00 €).

 

2 CASO – Applicato l’accordo con i creditori – Tribunale di Lodi

Se la legge numero 3 del 2012 è stata ribattezzata “salva suicidi”, evidentemente un motivo c’è ed è facile intuirlo. La crisi e le difficoltà economiche che a essa conseguono possono stritolare la gente nelle morsa delle loro spira portandola a compiere gesti estremi. Così avrebbe potuto essere, purtroppo, per una famiglia del Lodigiano, in Lombardia, se del suo caso non fossero stati interessati l’avvocato Giuseppe Dellisanti e Nicola Palumbo, che esercitano a Parma, il primo appartenente all’associazione Ripartire, occupandosi principalmente di diritto fallimentare.

E’ stato possibile per la prima volta in Lombardia “rottamare” debiti per circa 250mila euro pagandone meno della metà.

Dal 2008 ai giorni nostri, i due coniugi lombardi avevano accumulato quel debito sia relativamente all’attività del marito – titolare di una piccola ditta individuale in difficoltà – sia per via di un mutuo e diversi finanziamenti contratti in ambito familiare.

Un peso enorme sul groppone che mai e poi mai sarebbero riusciti a scrollarsi di dosso, fin quando i due legali non hanno prospettato loro la possibilità di presentare istanza per l’applicazione, appunto, della “salva suicidi”.

Non una cosa automatica, poiché innanzitutto è necessario dimostrare la meritevolezza dei debitori. Tradotto: convincere il giudice che i debiti non sono stati accumulati per semplice strafottenza o, peggio, con “dolo”, sapendo insomma di non poterli onorare, ma per cause indipendenti dalla volontà del debitore e nonostante il suo impegno. È il caso della perdita del lavoro o della riduzione dello stipendio, e non – tanto per fare un esempio – dei conti per il gioco d’azzardo o le scommesse online

Superato il vaglio della meritevolezza, la legge numero 3/2012 prevede poi tre vie: il piano di rientro dal debito, l’accordo coi creditori e la liquidazione del patrimonio (caso estremo). Dopo aver dimostrato che i loro assistiti meritavano di accedere alla “salva suicidi”, i legali hanno optato per l’accordo coi creditori, fondato essenzialmente sulla vendita di una casa di proprietà della famiglia da loro assistita. L’hanno fatta periziare (valore, circa 100mila euro) e i proprietari hanno poi trovato un compratore. Successivamente, i legali hanno contattato uno ad uno i creditori e hanno proposto loro i termini dell’accordo, ossia estinguere del tutto il debito con i proventi della vendita dell’immobile. I titolari del 60 per cento della massa creditizia – in primis un noto istituto bancario – hanno accolto la proposta, che è poi stata omologata dal Tribunale.

In sostanza, il debito iniziale di circa 250mila euro, contratto perlopiù con la stessa banca e diverse finanziarie, è stato falcidiato o, se si preferisce, rottamato e più che dimezzato: grazie alla restituzione di circa 100mila euro – recuperati dalla vendita dell’abitazione – i coniugi sono riusciti a togliersi di dosso un peso che, col trascorrere del tempo, si stava facendo sempre più oneroso e impossibile da sostenere. Hanno perso la casa e ora vivranno in affitto, ma prima o poi sarebbe successo che gliel’avrebbero tolta ugualmente quella casa, la quale poi sarebbe magari stata rivenduta a un prezzo inferiore ai 100mila euro. Con la restante parte del debito che, ovviamente, avrebbe gravato ancora sulle loro spalle.

In Italia, non sono molto numerose le soluzioni di questo tipo. Se ne contano in tutto una ventina, soprattutto al Centro-Nord. Al Sud, dove più forte è l’attaccamento – perlopiù affettivo – ai beni di proprietà, come una casa di famiglia tramandata di padre in figlio, si è più restii a intraprendere volontariamente queste strade, ma spesso purtroppo capita che i creditori finiscano per acquisire lo stesso gli unici beni nella disponibilità del debitore.

3. CASO - Efficacia dei metodi negoziali nel raggiungimento di accordi transattivi

Il caso pratico che segue si caratterizza per una applicazione costante dei metodi di negoziazione con tutti i creditori di un imprenditore il quale non aveva i requisiti per accedere alla legge salva suicidi.

L’imprenditore in questione, residente in provincia di Milano, per motivi personali, aveva accumulato debiti per circa € 65.000,00 con creditori privati (verso il proprietario del capannone, verso i fornitori, verso un istituto di credito). In particolare aveva ricevuto forniture per materie prime da investire nel ciclo di produttivo senza avere poi la possibilità di consegnare, per motivi di salute, il prodotto finale.

Si era così creata una scompensazione per cui i mancati introiti hanno determinato l’impossibilità di pagare i debiti per l’acquisto delle materie prime ed altri fornitori.

Viste le circostanze si è provveduto a contattare ogni singolo creditore, spiegando i motivi alla base del mancato pagamento e le prospettive future.

Si è poi provveduto ad inviare una proposta di transazione, talvolta accompagnata da ulteriori colloqui negoziali finalizzati a valorizzare la proposta transattiva, per poi definire ogni singola posizione, nessuna esclusa.

Il risparmio per l’imprenditore in stato di sovraindebitamento è stato pari al 44,61% del debito accumulato per una somma pari a circa € 28.996,50.

 

 

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